Game Break #1 | La quiete dopo la tempesta – Everybody’s gone to the Rapture

Ed eccomi tornata con il primo articolo effettivo di questo blog, che inaugura anche la rubrica Game Break, in cui parlo chiaramente di videogiochi. Nonostante sia una videogiocatrice da tanto tempo, non aspettate che vi parli di tecnicismi o del gameplay nello specifico perché non ho le competenze per farlo. Oggi tratterò di un gioco particolare, che ha fatto discutere molto. Mi sto riferendo ovviamente a Everybody’s Gone to the Rapture, walking-simulator nato dalla collaborazione degli studios The Chinese Room e Sony Santa Monica. Relegare questo gioiello categoricamente a una tipologia di giochi è oltremodo riduttivo, in quanto ci viene offerta un’esperienza molto più complessa e sfaccettata di quello che può apparire. La storia è narrata su più livelli ed è necessario giocarla anche più di una volta per poterla cogliere nella sua interezza.

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Prima di passare all’analisi spenderò brevemente due parole sulla trama, cercando di anticipare il minimo indispensabile. Ci troviamo in Inghilterra, o più specificatamente in un villaggio immaginario dello Shropshire, Yaughton, agli inizi degli anni 80’. Il tutto si svolge in seguito di un evento apocalittico non del tutto specificato, ovvero The Rapture, che ha sconvolto l’intera popolazione del villaggio, facendola svanire nel nulla. La nostra guida è un globo luminescente e ci accompagna nel corso della storia. Essa si suddivide in cinque capitoli, corrispondenti ai personaggi principali. Il globo cambia atteggiamento a seconda del personaggio che ci viene mostrato, riflettendo il suo carattere. Noi impersoneremo Katherine Collins, una scienziata che insieme a suo marito Stephen Appleton lavorava ad uno schema riguardante i corpi celesti. Lungo il cammino conosceremo Jeremy, il parroco della comunità, dilaniato da una crisi di fede; Wendy, una vedova sessantenne schietta e onesta; Frank, proprietario di una fattoria e Lizzie, proprietaria del campeggio locale.

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La particolarità con cui gli eventi vengono narrati, potrebbe inizialmente spaesare, poiché vediamo interagire i personaggi in un modo veramente singolare. Sono rappresentati tramite reminiscenze luminose, da cui sentiamo echi di conversazione passate. Questi brandelli di dialoghi non sono disposti in ordine cronologico e il giocatore deve essere in grado di ricostruire la storia, ordinando, di volta in volta, i tasselli del puzzle. Sono estratti di vita quotidiana e mostrano gente comune alle prese sia con i loro problemi intimi, sia con un nemico indefinito e sconosciuto, al di fuori della loro portata. Non è affatto semplice riuscire a scovare tutte le conversazioni durante la prima partita, ed è proprio per questo motivo che all’inizio del post avevo accennato al fatto che il gioco ha bisogno di più di un playthrough. Il tutto viene anche raccontato attraverso i più semplici particolari, come da oggetti che con uno sguardo distratto sembrano marginali e che in realtà ci vogliono comunicare un elemento più o meno importante della trama, dalle telefonate, dalle registrazioni radio, dai graffiti e volantini. Se si prende come esempio il telefono, con un’attenta analisi si può sviscerare il suo significato effettivo. Il telefono vuole raffigurare l’incomunicabilità dell’uomo, che si affanna tanto per esprimersi con altri individui, ma giunti alla resa dei conti ognuno è imprigionato nella propria bolla di incomprensione. Insomma, niente è casuale e ogni componente del gioco ha uno scopo preciso, funzionale alla trama e al contesto.

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L’elemento che subito spicca, sin dai primi minuti del gioco, è sicuramente l’estetica. È impossibile compiere un passo senza notare il fascino che pervade l’ambientazione. Si è continuamente circondati dalla sfarzosa bellezza di questa campagna inglese immaginaria, una bellezza tanto affascinante da sfiorare il soprannaturale. Quest’ultimo concetto è rafforzato dai riferimenti alla mitologia cristiana, poiché è chiaro che il Rapture ci rimanda all’Apocalisse di Giovanni, dove la morte è più vista come una sorta di estasi. Di fatto la morte ha una doppia valenza: essa rappresenta sia l’angoscia, il nemico definitivo dell’uomo, ma allo stesso tempo è elevazione, la risoluzione finale a tutti i problemi terreni. Per tutta la durata del gioco permane un senso afflizione, inquietudine. Nessuno è capace di affrontare questa epidemia e tra gli abitanti è forte la consapevolezza dei propri limiti umani. Infatti più di una volta viene ribadito quel labile confine che la scienza non può attraversare. Solo al momento effettivo della morte ci sarà del sollievo, si capirà la pochezza delle difficoltà della vita dinanzi allo Schema (The Pattern). In questi momenti di amarezza la tranquilla campagna inglese dà spazio alle meraviglie del cosmo. Davanti ai nostri occhi viene letteralmente dispiegato un cielo stellato infinito, uno spettacolo potente, accompagnato da una musica dolce e malinconica. Il cielo è una metafora visiva molto importante. Il nostro cammino è scandito dai vari momenti della giornata e man mano che si giunge alla fine, vediamo il sole, alternarsi al crepuscolo, fino ad arrivare alla notte eterna.

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Sarebbe sconveniente fare questa recensione senza menzionare la magnifica colonna sonora, frutto della talentuosa compositrice Jessica Curry. I brani sono brillanti, emozionanti e si combinano perfettamente con le intense immagini del gioco. Anche degno di nota il doppiaggio originale, in cui sono presenti attori competenti, già presenti in produzioni del calibro di Downton Abbey e Black Mirror. Le loro voci completano in bellezza quest’opera.

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Il finale è volutamente criptico e sfuggente, ma sicuramente non lascia indifferente il giocatore. Ed è splendido come in un gioco dove la morte è il leitmotiv, venga celebrato l’amore e la vita in una maniera tanto poetica. Nonostante la storia sia un continuo avvicendarsi di momenti tristi e avvilenti, il gioco ci vuole comunicare un messaggio di speranza. Siamo parte di uno schema che collega le nostre coscienze, tutto ciò che siamo riecheggia in un singolo attimo atemporale. Per quanto sia difficile la vita, bisogna ricordarsi di ciò che è veramente importante, di quanto sia tutto in realtà insignificante. Ci viene comunicato senza divagazioni retoriche, viene raccontato per immagini e frasi ermetiche, che possono far partire le più disparate interpretazioni e teorie. Tutto è relativo.

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In conclusione si può affermare che Everybody’s gone to the Rapture è un’esperienza di gioco atipica, certamente adatta a palati fini e accontenta chi stima i videogiochi con tematiche ricercate. Per quanto il gameplay richieda concretamente un’interazione minima, bisogna lasciare da parte i preconcetti, aprire la mente e godersi l’avventura.

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. redbavon ha detto:

    Ho questo gioco nella lista di quelli che ho acquistato da tempo e ancora da iniziare, Per tutti i motivi che hai descritto e, in primis, per non vanificare l’atmosfera che sa rendere, per mancanza di tempo, sposto il suo inizio sempre un po’ più in là, preferendo brevi sessioni agli FPS (Titanfall 2 è davvero particolare). Prima o poi ce la farò 😉
    Ottima rece.

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    1. sulfondodelcielo ha detto:

      Grazie mille! Sono contenta che ti sia piaciuta 😊

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  2. veronicac89 ha detto:

    Grazie per il suggerimento, mi sa che proverò questo gioco!

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    1. sulfondodelcielo ha detto:

      Grazie a te! Non appena lo provi, fammi sapere cosa ne pensi

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